di Maestra Rosalba

domenica 20 novembre 2011

Ero straniero e non mi avete accolto


Se penso a questi ultimi dieci anni di scuola mi viene in mente che i collegi dei docenti, vuotati di ogni riferimento culturale e di contenuto, sono diventati un elenco di delibere, se proprio c'è da discutere e da scomporsi si passano ore, senza arrivare a decisioni unanimi, sul fondo d'istituto, le funzioni strumentali, le commissioni di lavoro o i progetti. 
Mai più che si parli di didattica, che si affrontino i temi sul destino della scuola, non solo sulle buie  prospettive di chiusura di cui è legittimo discutere, ma sul futuro culturale, sugli orizzonti, e sono quelli, che lo si voglia ammettere o meno, che un insegnante trasmette mentre parla e spiega ai suoi alunni.

E in questi giorni, ad esempio, è tornata d'attualità (casomai il tema fosse passato di moda), l'istanza riguardante i bimbi stranieri nati in Italia cui non è riconosciuta la cittadinanza Italiana fin dalla nascita, ne ha parlato il Presidente della Repubblica:
“... i bambini nati in Italia, che fino ai 18 anni si trovano privi della cittadinanza di un Paese al quale ritengono di appartenere, se ne dispiacciono e se ne meravigliano, perché si sentono già italiani come i loro coetanei." 

Ecco questo è un tema che tocca profondamente e da vicino la scuola. Un argomento su cui si dovrebbe prendere posizione in tanti, perché attiene alla didattica, attiene ai modi con i quali rendiamo veri gli argomenti che usiamo per fare scuola.

Questi bambini, nati in Italia, passano un tempo lunghissimo nelle nostre aule, assorbono e si nutrono della nostra Lingua che usano, della nostra Storia che è già la loro, della nostra Geografia che sono gli stessi spazi per tutti, e imparano l'Inglese, così così, che s'insegna nelle nostre aule. Le loro radici di individui affondano in questa terra natia, conservando memoria della terra d'origine solo attraverso i ricordi dei genitori. 
E viviamo insieme e loro respirano la stessa aria, inquinata allo stesso modo per tutti, dal primo istante di vita, però crescono lontano dall'idea, nostra, che essi siano altro e oltre noi. L'altro e oltre noi è nella nostra testa: i bambini non vengono neppure sfiorati da pensieri simili.
Un bambino vive qui e ora, in attesa del futuro, perché aspetta di essere grande. E il suo qui e ora è proprio un poggiare fisico dei suoi piedini sulla terra, questa terra, che in realtà non appartiene a nessuno.
E dispiace ancora di più pensando alle parole, del quale questo paese si fregia in virtù della legge e dei costumi, i quali possono anche più della legge scritta, al quale molto spesso, ci riferiamo anche a scuola.

"... Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo servito?" Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l`avete fatto a me". E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna". (Vangelo di Matteo)


Queste parole fatte proprie da ciò che è definita coscienza collettiva, possono ancora essere il lavacro domenicale nel quale immergiamo i comportamenti dei giorni feriali?

Si è fatto il tempo di tornare alle questioni importanti, ai diritti. Ripensare al patrimonio che rappresentano quei piedini che poggiano a fianco ai nostri in questa terra.
E dovremmo essere noi per primi a rivendicare la loro cittadinanza, a sancire l'appartenenza e non viceversa, loro a chiederla a diciotto. E in questa contrarietà dei fatti c'è qualcosa di molto sbagliato e incivile. Qualcosa, se le parole di sopra hanno davvero un significato collettivo, anche al di là dall'essere credenti o meno, al quale dovremo rimediare subito.



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