di Maestra Rosalba

mercoledì 1 febbraio 2012

Bianchi ricordi

Io la nevicata dell'ottantacinque la ricordo bene. 
Più o meno le ricordo un po' tutte le nevicate di queste parti. Dopo quella  dell'ottantacinque, che è ancora famosa,  nevicò a gennaio novantatré, prima ancora ricordo una nevicata dell'infanzia ma l'anno non saprei proprio dirlo. 
A dire il vero non ricordo neppure la neve, era già aprile e nevicò. Mi è rimasta impressa la voce di mia mamma, mi pare di sentirla ancora mentre esprimeva la sua profonda preoccupazione perché la legna era finita, mentre già tirava un sospiro di sollevo per l'arrivo provvidenziale della primavera e invece, toh inattesa, ecco che arrivò la neve. Ricordo minestre calde, pane abbrustolito con sopra fettine di pancetta pepata. Nulla che richiami invece il soffice manto o i giochi. 

Poi fu la volta dell'ottantacinque.
Era pomeriggio e attirò la mia attenzione il sommesso gorgoglio delle nuvole, dei tuoni attutiti in lontananza, così scesi giù nel vicolo di fronte casa a osservare il cielo. Un grigio di perla ammantava l'aria fino a lambire il campanile sullo sfondo, i primi fiocchi si posarono sul mio volto incredulo e caldo del calore acceso del camino. Pensai che la neve non arrivava in silenzio ma si faceva annunziare dai tuoni come un qualsiasi temporale. Non avevo pensato male, infatti di lì a poco era una bufera di neve che in poche ore coprì le dimesse case di quel vicolo antico e il resto del paese. Il silenzio calò piano, assieme al cumulo di neve che continuava a salire. Buio e bianco divennero un tutt'uno. 
L'idea di uscire in giro con la piccola cinquecento, fu passeggera quanto il primo fiocco che quel pomeriggio si sciolse sul mio volto. E così rimase nel suo garage al caldo come tutti noi. Le scuole furono chiuse per l'impossibilità di transito di qualsiasi mezzo nelle strade. Il pomeriggio successivo qualcuno costruì uno slittino e finimmo sul monte Linas, a giocare come bambini.

Fu sempre ai primi di gennaio che nevicò in quel novantatré. Nessuno si accorse di nulla e a passo felpato nella notte la neve coprì delicatamente ogni cosa. Al risveglio aveva finito il suo silenzioso lavoro di pittura. I rami del roseto che ancora aspettava di essere potato si piegavano sotto il peso della neve, alcuni boccioli sfuggiti al letargo invernale, contrastavano il bianco in concorrenza con le foglie.
Le nostre urla di gioia risvegliavano i pochi nel vicinato che ancora indugiavano sotto le coperte. Ci ritrovammo nell'antico vicolo e poi nel cortile di mia madre. Ci accolse una palla di neve in piena faccia e la mia bimba cominciò a piangere disperata cercando rifugio in braccio. 

Ora può darsi che nevichi di nuovo, lo spero. Lo spero per i bambini di qua che attendono per anni questo avvenimento, perchè la neve del libro, quella soffice e bianca dei racconti si può solo immaginare. La neve quella che si può toccare con le mani si può anche raccontare.

La foto è di qua


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