di Maestra Rosalba

lunedì 27 maggio 2013

La pazienza del contadino

Per educare ci vuole pazienza. E non si tratta della pazienza necessaria per non agire d'impulso, sia nelle risposte sia negli atti. Si tratta della pazienza per aspettare di vedere i risultati. Un po', a volerla descrivere con un'immagine abusata, anche se ancora efficace, la potremmo paragonare alla pazienza del contadino che semina. Portare gli alunni alla consapevolezza significa insegnare loro a commisurare ciò che fanno, al risultato e alle effettive capacità. 
Ne abbiamo parlato altre volte quando abbiamo sottolineato come il bambino piccolo attribuisca sempre un alto valore a ciò che fa, e ciò è normale, anzi guai se a  sei, sette anni un alunno sottovalutasse il proprio operato. Mediamente il bambino sereno, ancora preso dal gioco, a quell'età se deve darsi un voto si dà dieci, ed è un bene che lo faccia.
Nel bambino più piccolo capacità e impegno ancora si fondono e quel bravo che noi diciamo per gratificarlo, per far sì che provi piacere ogni volta che s'impegna, spesso al di là del risultato, è per lui un positivo giudizio globale: sulle sue capacità e sull'esecuzione. Si vede così capace perchè siamo noi a mandargli quel messaggio.
Diverso è il caso degli alunni più grandi, a cui mandiamo messaggi più articolati, i quali servono a guidarli alla consapevolezza che il risultato si persegue anche con l'impegno. Impegno che significa in realtà, saper utilizzare le proprie capacità, giacché ognuno deve fare in modo commisurato, non strafare oltre le proprie possibilità ma neppure trascurare.
Quando facciamo l'autovalutazione ogni tanto mi soffermo a chiedere ai bambini perché si sono attribuiti una certa valutazione. Nessuno più in quinta si valuta attribuendosi il voto massimo, ci sono i più prudenti, la maggior parte si attribuisce la via di mezzo, in pochi si localizzano vicino alla vetta, alcuni con cognizione di causa, sapendo bene di avere un buon rendimento, altri, ma proprio un numero residuo, ancora pur non sopravvalutandosi tendono ancora a confondere l'elogio delle loro capacità con il rendimento. 
Una bimba che lo scorso anno tendeva a riconoscersi nella fascia alta, confondendo le proprie capacità con il profitto, quest'anno si è attribuita un voto di mezzo, ho chiesto il perché di questa scelta e mi ha risposto: "Devo riconoscere che non sempre ho studiato e anche quando l'ho fatto non sempre l'ho fatto in modo da essere veramente sicura delle cose".
Io che sono una maestra cattivella ho risposto: "Vedi io queste cose le avevo già intuite, perché è vero che non sempre siamo in forma, e possiamo non dare il meglio pur avendo lavorato, però è altrettanto vero che non si può essere alcune volte dei geni e altre volte non sapere nulla. Questo una maestra dalla sua sedia lo vede benissimo e capisce quando un alunno studia e quando invece no".

Ecco a volte per arrivare a sentire gli alunni parlare così, occorrono anni e tutta la pazienza del contadino che aspetta, con la pioggia, coi temporali, con il sole,  che arrivi il tempo di portare a casa i frutti.
L'educazione, la scuola in genere, mal si sposano con la fretta con il quale oggi si perseguono i risultati. E di questo qualche volta dovremmo domandarci tutti: scuola e famiglia.




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