di Maestra Rosalba

lunedì 25 aprile 2011

25 Aprile 2011, il nutrimento delle idee antifasciste

Contrariamente a ciò che ho scritto tante volte in questo blog che parla di apprendimento e dei modi per farlo al meglio e più serenamente possibile, penso ci siano idee e modi di vivere che non s'imparano, ma semplicemente fanno parte del patrimonio di conoscenze ereditato.
Ereditato nei primi anni della vita, come uno svezzamento precoce alla vita, idee che rimangono lì, mute sorveglianti della crescita,  idee vigili, efficaci difese  contro le farneticazioni che inevitabilmente si incrociano nel cammino della vita.

Così mi viene da dire che antifascisti si nasce e non ci si diventa, quando l'infanzia è nutrita anche di racconti, di episodi, di aneddoti che riconducono a quel periodo che si conclude idealmente il 25 aprile del 1945. Sessantasei anni fa.

La resistenza si è manifestata subito dopo l'inizio del ventennio, l'ultimo periodo è quello che si ricorda di più e meglio perchè rappresentato dal movimento Partigiano la cui azione fu determinante nel liberare l'Italia dal regime nazi-fascista.
E di questa resistenza iniziata prima, non ancora finita oggi, perchè i tentativi di imprigionare le idee, di smantellare i sistemi della conoscenza, veicoli della pluralità delle idee, non sono mica scomparsi, occorre raccontare ancora oggi ai bambini. Gli unici veri custodi del nostro futuro, delle libertà individuali, delle libertà di parola e di espressione umana. E se non ai bambini a chi vogliamo affidare il lascito ideale di chi ha consapevolmente sacrificato la propria voce per donarla ad altri?

Erano gli anni settanta circa, erano forti gli echi del sessantotto. I televisori avevano fatto capolino nelle nostre case da qualche anno. Erano meno invasivi perchè si accedenvano a orario. Nelle domeniche e nei festivi non si andava in giro per le città-mercato o per le feste. Tutt'al più si andava al mare d'estate. I viaggi erano pochi, in compenso si giocava nei vicinati in una sorta di famiglia allargata, dove gli adulti erano sempre responsabili di tutti e i ragazzi più grandi si occupavano dei più piccoli.
Ma non sempre si poteva stare all'aperto e nelle interminabili sere invernali una volta conclusi i compiti, restava parecchio tempo a disposizione fino all'ora di cena per raccontare e ascoltare, si proprio quelli che state immaginando i racconti accanto al camino. E noi ci disponevamo così, mia madre al lato e noi seduti intorno nelle seggiole piccole o sul muretto di spalle al camino. Posso dire che così piccoli noi si andava a scuola di antifascismo e la maestra era mia madre.

E i racconti di mia madre erano storie di antifascisti, di una Resistenza ante-litteram delle mie zone, del mio paese, che si manifestava con le azioni di disturbo, se non quando di vero e proprio sabotaggio degli antifascisti verso i rappresentanti locali del regime. 
Narrava le gesta eroiche dei suoi parenti, limpide storie di un pensiero che non si piegava alla mancanza cronica di lavoro per via delle idee politiche, al sacrificio delle madri in continua e costante ricerca di cibo per placare il pianto affamato di una prole numerosa.
Narrava la vita di madri e padri che all'ideale antifascista hanno anteposto persino la famiglia. Che quella famiglia la incontravano furtivamente, la notte, incontri fatti di abbracci sottratti alla fuga e alla semiclandestinità.
Di case continuamente violate dalle perquisizioni, di gente che si mangiava  appena in tempo volantini antifascisti. Di coraggiosi che la notte salivano sulla cima più alta del paese per piantare una bandiera rossa, che al mattino sventolava allegra dicendo "noi ci siamo eh!" e delle ritorsioni e i rastrellamenti, della rabbia cieca di chi si sentiva sfidato nel potere e più di tutto nelle idee.

Di tutto questo che era così vivo allora in mia madre meno che quarantenne e vivo della vividezza dei ricordi dell'infanzia, è altrettanto vivo in me oggi,  e per averli sentiti da piccola mi sembrano cose che ho vissuto. Non solo ricordo i fatti ma ho in mente le persone e me le immagino rifiutarsi di indossare la camicia nera. Immagino quello stuolo di bambini affamati ma circondati da un affetto indicibile. Perchè l'affetto che li sacrificava in nome della libertà collettiva è incommensurabilmente maggiore di qualsiasi altro affetto maturato nella sicurezza.



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2 riflessioni:

ele il 27 aprile 2011 alle ore 21:48 ha detto...

bellissimo post. condivido pensieri e impegno nel tramandare una coscienza che davvero va al di là degli insegnamenti scolastici e nozionistici. Perchè anche io sono convinta che educare un bambino alla tolleranza, al rispetto per gli altri, alla libertà di pensiero sia, oggi più che mai un atto politico. In qualche modo lo avevo detto anche qui: http://cremacatalana-romana.blogspot.com/2011/03/si-si-e-ancora-si.html
Grazie per il tuo impegno di questo sito! Un abbraccio, ele

Rosalba il 2 maggio 2011 alle ore 16:53 ha detto...

Ele grazie per la tua riflessione :)

 

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