di Maestra Rosalba

lunedì 25 luglio 2011

La retorica delle radici e dell'identità che anche Allam dovrebbe conoscere

Due o tre appunti  su identità e radici, cose che i giornalisti seri dovrebbero sapere, cose che Allam giornalista Egiziano, naturalizzato italiano, dovrebbe ripassare con un esame di antropologia, giusto per evitare di cadere in bestialità come quella di ieri, qualsiasi rettifica è inutile altrimenti dovremmo pensare che non sa scrivere l'italiano e questo è contrario ai principi di un partito.

La cultura
La cultura è il timone che serve ad orientarci, a categorizzare e ordinare le cose del mondo, quello naturale e quello della sfera umana. Nell'ambito della sfera umana l'uomo distingue il sé dall'altro da sé. La definizione di queste due entità è articolata in base a diversi parametri: il sesso, il genere, i gruppi cui si appartiene, le classi sociali, le etnie, le nazioni e via dicendo.
Quando si ritiene di appartenere ad un gruppo è perchè si aderisce ai suoi modelli culturali, Fabietti sostiene, In Elementi di Antropologia culturale: L'idea di far parte di un Sé collettivo, di un “Noi” (una tribù, una nazione, una confessione religiosa, una casta, una tifoseria ecc.) si realizza attraverso comportamenti e rappresentazioni che contribuiscono a tracciare dei confini, delle frontiere nei confronti degli “altri”.

L'identità collettiva
Tralasciando in questa sede il problema dell'identità individuale, l'identità collettiva invece, si nutre di concetti e idee quali:  il far parte di una comunità, le cose in comune, le cose che ci caratterizzano, la storia e la condivisione dei valori. Che si traduce immediatamente nella retorica dell'identità: il noi e il loro: il nostro gruppo, il loro gruppo. Concetto che diventa più estremo in presenza di conflitti tra individui e gruppi. E' una tendenza tutta umana evidenziata dall'antropologia,  definire il proprio gruppo come connotato positivamente e attribuire all'altro le connotazione negative. Notare come avviene quotidianamente nella comunicazione, soprattutto se parliamo in assenza degli interessati. Sostiene Carlo Maxia che è proprio con la globalizzazione che si fa ricorso alla retorica dell'identità e  "nelle epoche in cui i contatti tra gruppi umani si intensificano, e gli spostamenti divengono sempre più frequenti, i confini geografici tendono a ridursi mentre quelli culturali tendono a moltiplicarsi".

La cultura occidentale e il tentativo reiterato di supremazia identitaria.
In particolare è proprio la "cultura Occidentale" delle cui radici si parlava ieri, che nell'incontro sia di individui che di gruppi "è (...) una di quelle che più ha enfatizzato la dimensione dell' identità, soprattutto della propria identità contrapposta ad altre. Ciò si spiega con il fatto che  a partire dal XV secolo, l'“Occidente” è stato particolarmente aggressivo nei confronti delle altre culture" come sostiene ancora Fabietti  concludendo che "la cultura occidentale ha come caratteristica preminente la rigidità, non presente invece in altre culture come quelle africane".
Il ricorso al concetto d'identità, così frequente oggi, si motiva, come in altri momenti storici compresa l'Unità d'Italia, con l'esercizio della lotta per il potere e per le risorse. Non a caso si presenta  attualmente come strettamente collegata con il fenomeno della globalizzazione.

Il concetto d'identità collettiva è fittizio e propagandistico
Se i concetti di identità individuale hanno una loro ragion d'essere dal punto di vista della formazione dell'individuo, quello d'identità collettiva è una costruzione fittizia perchè il modo intrinseco di essere dell'uomo, la produzione culturale e di conseguenza l'idea identitaria non sono fatti immutabili, al contrario rappresentano un flusso costante e in divenire, difficilmente racchiudibile in categorie così come il concetto di identità in astratto ci vuole far credere.  In particolare l'identità è un «fenomeno di mutamento incessante da cui le forme emergono e in cui sono destinate a scomparire, come il fenomeno di andare e venire delle onde del mare» (Remotti, Contro l'identità, 1996).
L'adesione al concetto d'identità e di radici comuni, comporta la rinuncia alla molteplicità e alle particolarità, che derivano non solo dai modi di essere ma anche dagli spostamenti umani e dalle provenienze (vedi l' operazione giornalistica di ieri), e difficilmente, per dirla ancora con Maxia un'identità in cerca di affermazione tende a non riconoscere la propria particolarità, perchè il riconoscimento stesso è percepito come indebolimento dell'identità.

Alterità e identità: l'una dentro l'altra
Ecco il senso di tanta propaganda, sul come siamo e da dove veniamo, nel tentativo di ricondurre ad un unica radice con il neppure tanto celato obiettivo di escludere e delimitare, salvo poi che l'alterità stessa è dentro di noi, e se non fosse troppo potremmo riconoscere i tratti della follia nell'ostinata  azione che distingue due concetti oggi inscindibili.
Pertinentemente Remotti sostiene in Contro l'Identità, 1996, che «Riconoscere non solo l’esistenza dell’alterità, non solo la sua inevitabilità, ma anche il suo essere “interno” all’identità, alla sua genesi, alla sua formazione. L’alterità è presente non solo ai margini, al di là dei confini, ma nel nocciolo stesso dell’identità. Si ammette allora che l’alterità è coessenziale non semplicemente perché è  inevitabile, ma perché l'identità è fatta anche di alterità»
Tutte cose che faremmo bene tutti a stampare e ricordare, da qualsiasi parte le nostre radici e origini abbiano avuti inizio in qualsiasi angolo di questo martoriato mondo.

Fonte: Carlo Maxia ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane dell’Università degli Studi di Cagliari.


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3 riflessioni:

Paolo Pascucci il 25 luglio 2011 alle ore 10:33 ha detto...

Non ho letto l'articolo di Allam, dico solo due cose sul concetto di identità di gruppo. Spesso l'umanità deve lottare contro comportamenti innati per elevarsi, (qualsiasi cosa quest'ultimo termine significhi).
La ricerca dell'adesione a un gruppo e la creazione dei presupposti culturali e sociali per la sua formazione fanno parte del nostro retaggio filogenetico, così come è visibile nei nostri cugini scimpanzè. E' però del tutto evidente che quella che era un'esigenza fondamentale dei clan di cacciatori raccoglitori lo è molto meno dell'uomo moderno, anche se permangono ancora le divisioni in nazioni. Da queste considerazioni sembrerebbe potersi derivare che l'identità di gruppo è un concetto obsoleto e inutile ma noto che è comunque sempre attivo in tutti coloro che condividono qualcosa, che si sentono parte di un gruppo o di un modo di pensare.
Una soluzione potrebbe essere: sapersi osservare mentre si agisce. Ribadire l'identità comune, vuoi che sia cattolica o laica, ha senso solo se definisce in maniera soft ciò che si condivide a livello ideale (altrimenti nessuno condividerebbe niente dell'altro) ma, nello stesso tempo, deve servire a superare l'ostacolo della divisione noi-loro a livello culturale. (Noto che è una divisione che avviene anche nella contrapposizione tra cultura umanistica e scientifica)

Chiara il 26 luglio 2011 alle ore 23:03 ha detto...

se noi e la nostra cultura siamo quel che siamo è solo grazie a secoli e millenni di "multiculturalismo". Senza incontro non c'è VITA, non solo evoluzione; gridare al lupo,al lupo nei confronti dell'altro vuol dire essere più vicini alla fine della propria esistenza. E' noto (e lo dico conoscendo dei norvegesi) che in Norvegia le diverse culture e religioni convivono da parecchio tempo senza problemi; perchè l'azione di un pazzo deve essere usata per propagandare falsità? dette poi da chi era straniero ed è stato accolto è ancora più spaventoso.

Rosalba il 2 agosto 2011 alle ore 20:05 ha detto...

@Paolo, @Chiara grazie per il contributo, a scuola il tema identità è trattato spesso, certo che a leggere certe opinioni sembrerebbe di stare dalla parte sbagliata e diventa difficile argomentare con le famiglie e i genitori. Per fortuna sono proprio i fatti a dimostrare l'insipienza di certe teorie giornalistiche.
rosalba

 

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