di Maestra Rosalba

venerdì 30 settembre 2011

Il carnevale della fisica #23 Su Scientificando

E' online l'edizione numero 23 del carnevale della fisica  L'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, argomento che ha suscitato un grande interesse nei numerosi partecipanti e che non mancherà di appassionare i lettori di queste edizione settembrina del Carnevale, sapientemente presentata su Scientificando, che così scrive:
L’uomo, con l’invenzione di strumenti che hanno ampliato le sue possibilità di osservazione, negli ultimi due secoli ha scoperto l’esistenza di due nuovi mondi al di fuori della sua dimensione, nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande. Poiché l’esperienza quotidiana è limitata ai fenomeni a scala “umana”, quelli a scala microscopica e macroscopica spesso contrastano con il senso comune

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giovedì 29 settembre 2011

Lo spazio tra i banchi

La precedente aula, quella dal quale ho raccontato i primi (quasi) tre anni di questo blog, l'avevo ereditata e non ne avevo mai preso pienamente possesso.
Non so, c'era dentro di me come un'idea, ma così senza motivo, che sarei dovuta andare via, come se si trattasse di una sistemazione provvisoria. 
Salvo il riordinare a fine anno, cioè gettare via tutte i ritagli dei lavori, circolari e comunicazioni ormai inutili, fotocopie di schede, in quell'aula e in quegli armadi c'era di tutto: anni di passato scolastico, avanzi di ricordi di classi ormai andate per la loro strada. 

Il cambiamento di quest'anno ha segnato il passaggio alla stabilità, e così in un'accaldata mattina di settembre ho forgiato gli spazi con il materiale che mi è stato consegnato e con ciò che ho recuperato della vecchia aula. 
Ho pensato a tutto: la Lim, il computer desktop, un tavolino per il portatile, gli armadi in bell'ordine, il mobiletto per i quaderni dei bambini. Quella mattina, stanca e sudata mi sono girata prima di uscire e ho guardato con soddisfazione il lavoro di oltre tre ore. 
In mezzo alla classe erano restati i banchi, così come il personale li aveva lasciati, dopo le grandi pulizie del rientro: uniti a tre a tre, così che il primo giorno di scuola i bambini si sono seduti su tre di file di sei, gli uni molto vicini agli altri. 

Dopo i primi saluti e gli abbracci siamo tornati alacremente al lavoro, io ho ritrovato i miei alunni e loro hanno ritrovato me. Tutto bene direte voi. Neppure per idea dico io. 
Forse qualche collega sveglio ha già capito cosa è capitato, ma io no, io ci ho messo oltre una settimana a capire e almeno tre giorni a chiedermi cosa stava succedendo alla nostra classe. Battibecchi continui, calci agli zaini, prese in giro neppure tanto velate, interruzioni e chiacchere durante qualsiasi attività... 

Parlavo agli alunni e avevo la sensazione netta di avere di fronte un muro, sentivo che qualcosa mi mancava ma non capivo cosa. Ieri durante l'ennesima predica ho detto loro “siete anche così disposti male, in questa nuova classe non funziona più nulla…” ma ancora non capivo. 
L'indomani il collega mi ha detto "Sai, tra le poche cose che all'Università ho imparato, una mi è parsa molto utile, pensare bene alla disposizione dei banchi..." 
Inutile dire che ci sono arrivata solo qualche minuto prima da sola, ricordandomi la frase detta ai bambini. 
Quando, quasi all’improvviso, ho riflettuto sul fatto che la lezione dalla cattedra non l'ho mai fatta, io da sempre giro nei banchi mentre parlo, detto, racconto, chiedo e ascolto, butto uno sguardo ai quaderni se scrivono, mi siedo vicino al bambino che parla, legge o racconta.
Perché la cattedra a me serve per infilarci e chiuderci a chiave il registro, mettere le presenze,  e  ogni tanto per poggiarmi a correggere i compiti. 
Quando mi siedo perché sono stanca, non sto dietro alla cattedra, ma metto la sedia direttamente di fronte loro. E quelle corsie tra i banchi sparite per qualche giorno non si sa come, sono il legame tra me e loro. Il modo con il quale stiamo veramente insieme: maestra e alunni. 
Quell'aiuto dato al volo tra una parola e l'altra del dettato, a volte un incoraggiamento, a volte una carezza o un finto scapaccione, ecco che cosa c'era mancata: la nostra vicinanza anche fisica. 
Oggi alle otto ero già sulla strada per scuola, alle otto e dieci avevo già rimesso  i banchi al loro posto. Ho assegnato nuovi posti a tutti, dopo le dovute spiegazioni ho chiesto agli alunni di tornare a comportarsi come hanno sempre fatto, con cordialità, di lasciar perdere i battibecchi e che per favore mi ricordassero prima di andare via di ritirare il pesce per pranzo. 

All'arrivo del collega ero pronta sulla porta e i bambini hanno gridato "Maestraaa il pesceee!!", il collega mi ha guardato e ha detto "Il pesce???" e io ho risposto: "Sì ecco il pesce, ci vediamo stasera. Ciao bambini a domani!!
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Il lavoro dello scienziato e il metodo scientifico sperimentale

Già dalla terza classe di scuola Primaria, con l'insegnamento della scienza si presenta il metodo scientifico, di pari passo si fanno conoscere agli alunni di cosa si occupano alcune branche della scienza: la zoologia, la botanica e la chimica ad esempio. Senza entrare troppo nello specifico perchè è prematuro, si comincia ad intuire che data la vastità dei fenomeni osservabili e le tantissime forme di vita che ospita il nostro pianeta, non è possibile che una sola persona si occupi di spiegare i fenomeni osservabili.
Ma lo scienziato non procede a caso nei suoi studi e se molte cose possono essere comprese attraverso l'osservazione, ci sono fenomeni che si  spiegano e che si possono comprendere solo attraverso l'utilizzo del metodo scientifico sperimentale.
Il metodo implica una serie di fasi concatenate, in cui l'una segue l'altra, all'insegna della logica, del ragionamento e  che si basa su ciò che è realmente osservabile e dimostrabile. Il lavoro dello scienziato si regge quindi non su supposizioni a caso ma su ipotesi che diventano conclusioni solo dopo adeguata dimostrazione.
Lo stesso insegnamento delle scienze sperimentali pone come assunto, la possibilità di dimostrare agli alunni in modo sperimentale i  concetti oggetto d'insegnamento.

Nel file in download in pdf, gli schemi, i concetti, gli esercizi da dare ai bambini e un bel disegno da colorare: Lo scienziato e il metodo scientifico
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martedì 27 settembre 2011

Geografia terza e quarta Primaria: Il geografo e i suoi aiutanti

Già lo scorso anno abbiamo visto che la classe terza coincide con l'inizio dello studio individuale.
Per facilitare gli alunni nello studio, le mappe,  spesso riportate anche nei libri, aiutano a visualizzare sinteticamente i contenuti:  il bambino le può utilizzare come traccia per lo sviluppo di un semplice discorso. 
La geografia è un argomento che si presta molto all'esperienza delle prime mappe, perchè le definizioni non sono ancora articolate e il bambino per un significato non deve andare a cercare concetti elaborati, ma frasi ancora semplici.
L'importante è cercare fin d'ora abituare i bambini a riferire frasi complete, abbandonando le risposte fatte di una singola parola.
Nel file in download di questo post, propongo la realizzazione di una mappa concettuale sia testuale che visuale. Per facilitare lo studio e la memorizzazione, ad ogni parola corrisponde un'immagine che esprime un concetto.
La mappa visuale aiuta la memorizzazione anche attraverso le immagini. Sarà così più semplice per il bambino mandare a memoria le prime notizie di geografia. 

Come si utilizza
Dopo aver scritto i concetti principali sul quaderno, si può riprodurre in clace la mappa, fornendo ai bambini le foto da ritagliare,  così da poter  abbinare le parole alle immagini.
Si può, in alternativa, realizzare un cartellone per la classe. Per chi dispone della Lim  il file pdf si può proiettare, per mostrare ai bambini lo schema di realizzazione.
Oppure alla lavagna si può disegnare la parte testuale della mappa da far copiare e poi far aggiungere ai bambini le immagini anche da soli, abbinandole alla parola giusta. 
Domande stimolo saranno d'aiuto per chi fa più fatica: di cosa si occupa lo zoologo? Chi si occupa dell'inquinamento?
Senza dubbio la stessa proposta didattica è utile per ricominciare il lavoro in classe quarta, anche come laboratorio geo-espressivo. Se non si vogliono utilizzare le foto i bambini possono produrre loro stessi piccoli disegni.

Download attività laboratoriale La geografia: il geografo e i suoi aiutanti
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lunedì 26 settembre 2011

Carnevale della chimica #9 di Settembre 2011

Il carnevale della chimica di settembre è online già da qualche giorno, una bella carrellata di ricordi di scuola legati all'insegnamento e all'apprendimento della chimica. 
Il racconto di chi a scuola c'è stato da un pezzo e di chi a scuola c'è ancora, di chi prima è stato  alunno e poi è finito dall'altra parte. Di chi dall'altra parte ci sta ancora. 
Un racconto colorato perchè fatto di esperienze e confessioni autobiografiche e a pensarci bene gli stessi colori che assume la chimica quando la si comincia a capire. Perchè prima di comprendere ho come l'impressione che tutto appare in bianco e nero.

La chimica nei ricordi di scuola Urto Efficace
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domenica 25 settembre 2011

I neutrini spiegati ai bambini

Anche la scuola può stare nella notizia. 
Se ne parla molto in questi giorni, pertanto non rimane che attrezzarsi per spiegare nel miglior modo possibile ciò che accade a proposito di neutrini.
Ovviamente premettendo anche ai bambini, che non ci sono ancorà  novità scientifiche definitive e la prudenza è d'obbligo. Gli stessi fisici che hanno condotto l'esperimento, dichiarano:

Nonostante la grande significatività delle misure riportate qui e la stabilità dell'analisi, l'impatto potenzialmente enorme dei risultati motiva la prosecuzione dei nostri studi in modo da poter investigare possibili effetti sistematici sconosciuti che potrebbero spiegare l'osservazione anomala. Deliberatamente, non tentiamo nessuna interpretazione teorica o fenomenologica dei risultati. (fonte: Keplero)

Con i bambini può accadere di scivolare nel fantastico mentre si affrontano questi argomenti. Ecco a me pare che questo è un fatto che deve essere evitato assolutamente, affrontare nuove teorie, che naturalmente generano fascino in adulti e bambini, non deve essere un modo per rafforzare l'idea fantastica o fantascientifica del mondo, bensì un modo per insegnare, ancora una volta qualora ce ne fosse necessità, che il mestiere del fisico, dello scienziato è fatto di pazienza. La pazienza di arrivare ad una scoperta, la pazienza di non gridare vittoria, di aspettare che ciò che si vede sia ulteriormente confermato dalle verifiche. Che l'esperimento si possa ripetere e riprodurre.
Solo allora si potrà parlare di dati più certi.
La didattica non può che portare questo tipo di contributo senza entusiamarsi con faciloneria come è successo qui, senza sapere esattamente di cosa si parla. Ma adotta la stessa prudenza dello scienziato: perchè nel bambino che impara non si crei mai l'idea falsa del risultato facile, soprattutto nell'ambito scientifico. Il risultato facile è un miraggio assolutamente da evitare.

Materiali per la spiegazione
Sul sito dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare trovate un video ralizzato per i bambini e i ragazzi che spiega in modo efficace cosa è un neutrino:  
Nella stessa pagina, tutti i materiali sono scaricabili, un pdf  spiega  il neutrino e il sole. 

Cosa raccontare ai bambini su quanto verificatosi con il progetto Opera
Per spiegare ai bambini cosa è accaduto al Cern di Ginevra occorre semplicemente raccontare che: un fascio di neutrini è  stato lanciato dal Cern, che si trova in Svizzera, verso l'Itituto Nazionale di Fisica Nucleare sotto il Gran Sasso. Questo lancio è avvenuto attraverso un sofisticato strumento e avendo i neutrini la proprietà di attraversare la materia, sono arrivati al centro di ricerca italiano. Durante ripetute misurazioni i fisici si sono accorti che i neutrini impiegavano meno tempo della velocità della luce, nel compiere il loro viaggio. Inizialmente hanno pensato a un errore, fino a rendersi conto che potrebbe trattarsi di una  nuova scoperta: cioè che i neutrini per spostarsi impiegano meno tempo della luce. Questa scoperta potrebbe modificare alcune delle idee e dei concetti ritenuti validi fino ad ora. Ma ci vorrà del tempo per formulare nuove teorie, che dovranno essere confermate dalla procedura sperimentale. Anche questa scoperta, come spesso accade, è stata fatta mentre gli scienziati cercavano altro.

Per la documentazione del docente: 
In questi link è possibile documentarsi sul racconto quasi in diretta che ne hanno fatto alcuni fisici italiani:


La serie dei post di Marco Delmastro dall'annuncio a Come si misura la velocità dei neutrini

Su Le Scienze edizione italiana, di Marco Cattaneo Divagazioni su neutrini e sulla luce


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sabato 24 settembre 2011

Ma non si vergognano?

A parte che neppure in questo caso è stato risparmiato l'aggettivo epocale, occorre chiarire ai volenterosi lettori, che l'aggettivo è stato usato male, quella raccontata nel comunicato stampa del Miur  trattasi di epocale bestialità. Vergogna.
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La comunicazione: linguaggio formale e informale

Con il tema del linguaggio formale e del linguaggio informale si conclude la trilogia dei post sulla comunicazione per la classe quarta di scuola Primaria che, poggiando sull'attività iniziata lo scorso anno, specifica e differenzia ulteriormente i concetti legati al come si comunica a livello orale, come comprendere al meglio durante l'attività di ascolto, per porre infine l'accento sui diversi registri della comunicazione: quello formale e quello informale.

A luoghi diversi corrispondono altrettanti modi di comunicare fra le persone a seconda delle relazioni che intercorrono tra esse. Il bambino abituato a usare in modo indifferente un tono confidenziale (spesso anche a scuola) comprenderà progressivamente che gli atteggiamenti, le parole, i gesti vanno ponderati e usati a seconda delle diverse situazioni. Dalla confidenzialità tipica del bambino piccolo, passare gradualmente a un registro comunicativo più maturo e riflessivo  per quanto riguarda la formazione della persona. Non dimenticando che lo stesso registro  si deve usare nell'esposizione dei contenuti: l'alunno al termine della scuola primaria deve essere in grado di sostenere una conversazione appropriata sugli argomenti di studio.

Gli elementi della comunicazione:
Ripassiamo gli elementi della comunicazione, costruendo una semplice mappa dei contenuti o un diagramma di flusso:
Emittente ------> (invia) ------> messaggio (usando) ------> codice (attraverso) canale ------> (a) destinatario.
Una volta realizzata la mappa, fissiamo i concetti, anche per aiutare i bambini nello studio, e scriviamo:

La comunicazione avviene quando l'emittente invia un messaggio, cioè il contenuto della comunicazione, usando un codice. Il codice è l'insieme dei segni usati per comunicare il messaggio. Il codice è inviato attraverso il canale che il mezzo con cui viaggia il messaggio. Dal canale il messaggio giunge al destinatario che è colui che riceve la comunicazione.

Ricordiamo brevemente che ogni comunicazione ha uno scopo: informare chiedere, consigliare, esprimere emozioni, desideri...

Il codice verbale e non verbale
Il codice può distintinguersi in verbale e non verbale. Il codice verbale è dato dalle parole parlate o scritte. Il codice non verbale è dato dalle immagini, dai segni e dai simboli.

A questo punto è bene proporre qualche esercizio alla lavagna o sul quaderno sia per individuare all'interno di una situazione emittente, messaggio, codice, canale e destinatario, che per distinguere i due tipi di codice. Gli esercizi sono nel file in download.

Linguaggio informale e linguaggio formale
Iniziamo portando all'attenzione dei bambini due frasi, simili nel contenuto ma dette in luoghi e con persone diverse.
- Marco dice alla mamma che il minestrone gli fa schifo.
- Marco chiede cortesemente al cameriere se può portagli via il piatto perché non gli piace.

Chiediamo ora ai bambini di evidenziare le differenze tra queste due frasi così diverse ma che si riferiscono a uno stesso contenuto.
Dopo aver ampiamente argomentato, facendo attenzione al fatto che alcuni bambini tendono a confondere i piani, perché un linguaggio formale può essere a sua volta poco rispettoso e un linguaggio informale non implica sempre mancanza di rispetto, formuliamo una definizione per ciascun tipo di linguaggio, partendo dagli esempi:

Nella prima comunicazione Marco usa un linguaggio informale adatto al contesto casalingo, parla alla mamma con cui ha molta confidenza e usa le prime parole che gli vengono in mente. Si esprime in maniera spontanea. Il linguaggio informale si può chiamare anche "registro informale".

Nella seconda situazione  Marco non ha confidenza con il cameriere, si trova in ristorante dove il contesto è formale, pertanto usa un linguaggio formale, scegliendo bene le parole e facendo attenzione ai modi. Anche il linguaggio formale si può chiamare "registro formale".

Anche in questo caso una serie di esercizi su situazioni pratiche aiuteranno a comprendere e utilizzare meglio i due modi relazionarsi.


Download attività didattica con esercizi
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giovedì 22 settembre 2011

Il verbo inquadrare

I cambi d’insegnante allo scadere dell’ora si sa avvengono frettolosamente, c’è giusto il tempo di un saluto e di una fugace conversazione.  A voler contare le parole che ci si scambia bastano le dita delle mani. 
E' stato giorni addietro, durante uno di questi rapidi passaggi di consegne, che parlando con un collega di recente nomina, in un breve commento sulla classe si è messa in mezzo la parola inquadrati. Non so chi dei due l’ha detta, e non importa in realtà, ricordo invece molto bene il senso di fastidio che mi ha invaso immediatamente come se quella conversazione troppo frettolosa e superficiale fosse sbagliata in qualcosa.
Anch’io come tanti, credo i più, quando penso al verbo inquadrare riferito agli alunni e alla scuola in genere provo una sorta di sottile disagio.
Mentre mi mordevo la bocca perplessa, e già ci disponevamo a iniziare l’attività, ho pensato ai genitori e alla loro reazione se avessero sentito questo scampolo di banale conversazione: cosa penserebbero del verbo inquadrare rispetto ai loro figli? 

In quella conversazione fugace, prima che cominciasse l'attività didattica, c'era la constatazione mica tanto banale, che i bambini della classe quarta sono rispettosi, conoscono le regole del vivere civile, non entrano mai in aula prima che il docente che li accompagna li autorizzi, in caso contrario aspettano davanti alla porta, dicono buongiorno ogni volta che qualcuno entra, usano per favore, ringraziano sempre per ogni cosa, se si accorgono di aver interrotto o fatto qualcosa di sbagliato si fermano e prima di tutto si scusano. In poche parole sono degli alunni molto educati.

Non è un caso, certo, erano già dei bambini in gamba quando sono arrivati, ma ci sono voluti tre anni per arrivare a questo: comprendere che per stare bene in una classe con dentro venti persone ci vuole prima di tutto rispetto e educazione.
La parola inquadrato, di quel brandello di conversazione, dettata da molto fretta e ascoltata da chi non conosce la situazione reale, avrebbe dato adito a fraintendimenti, ne sono certa.
Così mi sono spiegata il fastidio che ho provato subito dopo che si è posata nel bel mezzo della conversazione mia e del collega. Perché sono consapevole che a dirla a voce alta, per chi pensa che la parola inquadrati sia qualcosa di negativo, lascerebbe intendere che i bambini della classe quarta sono poco creativi, immobili dentro questo quadrato, senza possibilità di manovra, privi di spazi per parlare ed esprimere il loro potenziale.

Non lo so quando questo verbo ha cominciato a diventare nell'immaginario collettivo una parola non proprio bella e quindi riferita ai bambini, rappresentare l'immagine di qualcosa che impone e costringe. Eppure inquadrare significa anche mettere in cornice. Ed è così che io la penso in realtà, e mi dispiace per chi questo non riesce a coglierlo.
Inquadrare è mettere nella cornice dell'educazione tutta la nostra capacità di fare scuola: come ci riusciamo, nei nostri tempi, con i nostri limiti, con la nostra creatività, l'inventiva, con la nostra allegria, e le nostre lacrime a volte, ma sempre circondati dalla buona educazione… Ooops inquadrati nella buona educazione.


[Edit] Per il commentatore anonimo che ha scritto dicendo che è sbagliato  tessere le lodi dei propri alunni dandosene il merito e negare quello che fanno gli altri, suggerisco di rileggere attentamente, commentare nuovamente e firmarsi. Io ciò che scrivo lo firmo, me ne prendo le responsabilità, e da nessuna parte c'è scritto che i risultati delle mie classi sono merito mio.
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mercoledì 21 settembre 2011

Saper comunicare in classe quarta Primaria

Freschi freschi di considerazioni sulla capacità di ascolto, affrontiamo ora con la classe quarta di scuola Primaria la parte riguardante la capacità di saper comunicare. 

Come sempre con il diretto coinvolgimento dei bambini procediamo scrivendo "Saper comunicare" al centro della lavagna o alla Lim, chiedendo loro di esprimersi su cosa è necessario fare per comunicare bene. Otterremo una mappa di azioni, collegate alla frase centrale. Si può scegliere di rappresentarla tale e quale sul quaderno o di fare un elenco numerato. Noi abbiamo optato per la seconda soluzione, trascrivendo sul quaderno tutti le annotazioni emerse durante la conversazione, argomentando per ciascuna, con esempi scelti dagli alunni. 

Per saper comunicare efficacemente serve:
- Conoscere l'argomento.
- Sapere cosa dobbiamo dire.
- Respirare bene prima di parlare. 
- Formulare bene le frasi.
- Utilizzare il linguaggio adatto al contenuto (ad es. se parliamo di una ricetta o se forniamo delle informazioni occorrono parole molto differenti).
- Parlare a voce chiara.
- Formulare mentalmente la frase e cercare di dirla in modo semplice ma corretto.
- Mostrarsi sicuri.
- Guardare in viso chi ci ascolta per vedere se capisce.
- Aspettare che ci sia silenzio per parlare.
- Se qualcuno interrompe stare zitti e aspettare che ci sia silenzio prima di ricominciare a parlare.
- Se occorre, chiedere cortesemente di non essere interrotti.
- Essere sempre garbati mentre si parla. 
- Ignorare sempre la maleducazione. 

L'obiettivo non è solo comprendere come si prepara un'interrogazione, un argomento o come si fornisce un'informazione, i bambini vanno formati anche affinché acquisiscano la capacità  di gestione della comunicazione,  pertanto non sarà inutile indicare e sperimentare fin d'ora alcuni atteggiamenti da mettere in atto nelle situazioni in cui le dinamiche comunicative si fanno più complesse. Sia per quanto riguarda il proprio autocontrollo, sia per isolare e non incoraggiare gli eventuali comportamenti scorretti dell'interlocutore.

A questo punto l'attività può proseguire domandandosi a cosa serve comunicare, procedendo come prima alla lavagna creiamo una mappa da trascrivere sul quaderno.

Si comunica per:
- Comunicare i propri pensieri.
- Esprimere emozioni.
- Raccontare un'esperienza. 
- Manifestare i sentimenti.
- Entrare in relazione con persone nuove.
- Chiedere aiuto.
- Informare di un fatto.
- Spiegare qualcosa. 

I motivi per cui si comunica e i modi con il quale lo si fa sono strettamente correlati. Se può apparire dai media che ciò non è vero e che si può parlare di tutto e attraverso tutti gli atteggiamenti, anche quelli più scorretti e scurrili,  ai bambini va spiegato in modo puntuale (e direi categorico) che la comunicazione quotidiana va distinta da ciò che vediamo in televisione e su internet. Spesso le risse sono costruite ad arte per attirare nuovo pubblico e  in realtà l'unico atteggiamento per comunicare efficacemente è tenere conto delle regole appena scritte.


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lunedì 19 settembre 2011

Saper ascoltare in classe quarta Primaria

Già nella classe terza si parla di comunicazione: con lo studio  degli elementi che compongono la comunicazione e la stesura delle regole della comunicazione per la classe. 
In classe quarta, è bene puntare seriamente sulle consapevolezze e sulla responsabilità, prendere coscienza che ascoltare non significa solo fare silenzio e rispettare chi parla, ma acquista un valore aggiunto che è funzionale per lo stesso ascoltatore. Comincia pian piano a prendere corpo l'idea che ascoltare e farlo secondo regole date ha una funzione specifica, una finalità  da perseguire nella classe secondo criteri condivisi, per il singolo e per il gruppo.

Le regole per saper ascoltare
Chiediamo agli alunni di indicare le regole per ascoltare bene, aiutiamoci con un elenco pronto e facciamo scrivere sul quaderno e alla lavagna, numerandole:
Ascoltare vuol dire:
- Essere curiosi verso le cose nuove.
- Prestare la massima attenzione.
- Non interrompere chi parla o legge.
- Se occorre prendere appunti.
- Aspettare il proprio turno per intervenire.
- Capire ciò che si ascolta.
- Evitare di distrarsi giocherellando o scribacchiando.
- Porre domande per comprendere, dopo aver ascoltato.
- Concentrarsi senza pensare ad altro. 
- Essere seduti comodamente sul banco sgombro di oggetti.
- Guardare verso chi parla o legge.
- Rendersi conto di non aver capito qualcosa.
- Memorizzare le informazioni più importanti.

Per ciascuna affermazione aiutiamoci con esempi pratici, anche quelli che immancabilmente si verificano mentre trattiamo quest'argomento, chiediamo ancora ai bambini di argomentare e di farlo utilizzando le regole che abbiamo appena condiviso. Spieghiamo che l'ascolto in silenzio è una forma di rispetto verso chi parla, se fatto con cura e metodo può essere un valido aiuto nello studio. perché le cose già sentite si ricordano meglio e sono un sostegno importante per lo studio a casa.

Ascoltare in relazione allo studio, serve a:
- Conoscere nuove cose.
- Soddisfare la curiosità di sapere.

Ascoltare in relazione agli individui, serve a:
- Dimostrarsi disponibili verso gli altri.
- conoscere le opinioni degli altri.
- Saper accettare opinioni diverse dalle nostre.
- Provare emozione per le esperienze degli altri.
- In classe ad esempio significa far parte di un gruppo.

Anche in questo caso per ogni affermazione chiediamo perchè e facciamo spiegare ai bambini con esempi, cosa significa ciascuna affermazione, importante in questo caso non solo la funzione dell'ascolto come parte attiva per lo studio, ma anche come funzione sociale, di gruppo perché indica principalmente la disponibilità verso l'altro, il desiderio di conoscere le altrui esperienze e diventare empatici. 
Più avanti insegneremo ai bambini che comunque diventare empatici non sempre significa farsi carico di un problema, in quanto ciò non sempre è possibile, e già il fatto di offrire un gesto di ascolto ha un significato importante per chi lo riceve.

Durante questa attività è bene rinfrescare con:


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domenica 18 settembre 2011

Se siete favorevoli alle botte, dategliele a casa

Se siete favorevoli alle botte, dategliele a casa. Questa è l'unica risposta possibile per i genitori d'oltremanica che chiedono, secondo un indagine pubblicata in questi giorni, il ripristino e l'utilizzo a scuola delle "pene corporali". 
E ormai nel più classico dei trend, come per altri aspetti fortemente legati all'educazione dei figli si chiede che sia la scuola ad occuparsi e intervenire in aspetti di pertinenza familiare.
Ma l'indagine si spinge oltre, raccontando che addirittura il diciannove per cento degli studenti delle superiori, quindi i diretti interessati a ricevere il trattamento, si dichiara favorevole. 
Pare che gli intervistati, chiedano le botte per se   stessi, e qui il dubbio è lecito, perchè nessuno studente oggi (forse) è cosi scemo da proporre di essere bastonato. Mi pare quasi di sentirli, di fronte alla prospettiva delle bacchettate sulle mani, rimpallarsi la colpa. 
In quel caso l'insegnante cosa fa divide equamente le botte come farebbe nella distribuzione di una torta di compleanno, o ne punirebbe uno per educarne cento, secondo la formula tristemente consolidata? 
Le punizioni divise per tipologie, da somministrare a seconda della gravità del comportamento  andrebbero previste nel Pof o nel Regolamento d'Istituto? Per stabilire questi criteri si convoca una commissione che preveda e valuti la qualità degli strumenti?
E in caso di utilizzo di strumenti atti allo scopo, saranno le famiglie a occuparsi dell'acquisto o concorreranno alle spese? Si aprirà un nuovo capitolo in bilancio? Propongo di definirlo "Acquisto strumenti per la disciplina".

In altri tempi (notoriamente tristi) era di solito un alunno molto solerte (detto dai compagni  il lecchino) ad occuparsi della preparazione della bacchetta e qualche volta finiva anche con l'essere il primo a provarne la funzionalità.
Chi ha la mia età la scuola della punizione corporale l'ha conosciuta, davvero ne ha conosciuto l'aspetto umiliante e profondamente disumano, una cosa odiosa e barbara. Per carità anche le parole a volte possono umiliare. Ma la fine delle botte a scuola è stata una faticosa conquista, anche per il Regno Unito aggiungo, passata sulla pelle dei tanti alunni che le hanno subite, e sottolineo spesso ingiustamente. 

Ed è il classico il problema dei genitori, non tutti, (ribadisco non tutti) che ancora una volta propongono alla scuola di intervenire laddove la famiglia è incapace di farlo. Le cose sono due o si ritorna a valutare seriamente se si è in grado di tirare su un figlio e si possiede la forza e la costanza per insegnargli come ci si comporta o i figli si lasciano ragionevolmente dove sono.
I bambini così tanto carini, così belli da esibire, cosa che vale anche per  la cara vecchia Inghilterra,  diventano ragazzi e poi adulti, ed è occupandosi di loro fin da quando sono piccoli, badando un po' meno all'apparenza e un po' più alla sostanza, parcheggiandoli il necessario, standoci a sufficiente contatto, che si fa di quei bambini persone normali.
La normalità dei comportamenti dei figli non la si  acquista al mercato, non la si ottiene coercitivamente con le botte. E' frutto di un lavoro paziente e sapiente, di amore, di forza anche dura, di sì e di no soppesati e attentamente valutati, che inizia dal primo giorno di vita del bambino.

Crescere un figlio, che poi diventa anche alunno, poi studente e infine adulto, è fatica, impegno. La scuola non può raddrizzare un tronco lasciato crescere parallelamente al suolo, cui nessuno ha mai spiegato che per andare dritti e verso l'alto occorre opporsi alla forza del vento, il che richiede volontà e capacità di scelta. Ecco alla scuola non compete insegnare questo, si possono dare suggerimenti, ma il lavoro va fatto a casa, molto prima. Quindi davvero, senza voler mancare di rispetto a nessuno, se siete favorevoli alle botte, dategliele a casa vostra.    
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sabato 17 settembre 2011

Il testo poetico in classe quarta: Arrivederci fratello mare di Nazim Hikmet

Abbiamo aperto il sussidiario dei linguaggi e sfogliando le  prime pagine c'è questa bella poesia di Nazim Hikmet
ARRIVEDERCI FRATELLO MARE
Varna, 1951
 
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.

Riprendiamo subito il ritmo con il ritorno all'analisi dei testi, cominciamo dal testo poetico: questo testo si presta a salutare le vacanze appena finite, traghetta le esperienze estive  in ricordi, le emozioni  ancora fresche e vitali accompagnano i nuovi incerti passi, insieme al senso di malinconia  per qualcosa che finisce, fino a trasformarsi in  rinnovata forza, la forza dell'intraprendere una nuova strada. 

Attività
Commentiamo assieme agli alunni, il malinconico saluto del poeta che percepisce il mare così grande, luminoso e infelice allo stesso tempo, forse proprio perchè qualcosa sta per concludersi. Per passare qualche riga dopo a trarre il meglio possibile dal contatto con il mare, che oltre a raccontare il proprio destino, lascia aperta la porta alla speranza, alla saggezza e al ritorno.

Parole adatte  al novo inizio che anche un anno scolastico rappresenta: la speranza di iniziare in modo diverso, rinnovato impegno e saggezza, il traguardo di questi anni di crescita, che nel passaggio lento dall'infanzia portano all'età della ragione, la consapevolezza che a noi, a differenza del mare, tocca un destino che possiamo scegliere, mentre il mare è lì apparentemente immobile ,noi possiamo agire e tracciare la strada del futuro.

Correlazioni con le discipline
A questa attività possiamo accostare arte e immagine e fare il disegno del mare: le vacanze appena trascorse, ma anche il mare infelice e immenso rappresentato dal poeta. 

Per completezza forniamo agli alunni qualche notizia biografica sull'autore:
Hikmet nacque a Salonicco nel 1902, l'antica Tessalonica, all'epoca facente parte dell' Impero Ottomano,  e che oggi appartiene alla Grecia.
Nazim Hikmet cominciò a diciassette anni a scrivere per una rivista ispirandosi ad altri poeti turchi.  Lavorò come insegnante e studiò sociologia a Mosca. Rientrò clandestinamente in Turchia nel 1928 e per questo motivo  venne condannato  e imprigionato. 
Dieci anni dopo nel 1938, fu nuovamente condannato a quasi trent'anni di prigione per le sue attività e idee politiche contro il nazismo, fu scarcerato nel 1950 anche grazie alle pressioni di alcuni artisti e letterati europei. Si sposò, ma nel 1951 fu costretto a tornare a Mosca senza la moglie e il figlio nato nel frattempo. Passò il suo esilio in  viaggio per tutta l'Europa. Morì nel 1963 per un infarto, il secondo dopo quello già subito in precedenza. E' ricordato per le accorate poesie d'amore che testimoniano anche le sue idee e il suo impegno politico e sociale. 

Download attività in pdf: il testo poetico in classe quarta.
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venerdì 16 settembre 2011

Terapie riabilitative e frequenza scolastica

Delle tante cose che nella scuola sono cambiate, e ve ne sono, una l'ho vista restare uguale anno dopo anno.
Chi ha pratica di attività di sostegno la conosce bene: l'ingresso ritardato degli alunni che si recano a fare terapie riabilitative in strutture sia pubbliche che private. 
Ovviamente scuola e centri riabilitativi svolgono funzioni complementari ma differenti, se la prima si occupa dell'apprendimento e della socializzazione, i secondi si occupano direttamente del disturbo intervenendo in maniera specialistica.
So che ci sono state esperienze avanzate che prevedevano l'intervento specialistico all'interno dell'ambito scolastico. Ma credo siano pratiche estinte e tutti sappiamo perché.
Non è diffuso ma abbastanza frequente che vi siano alunni che  arrivano a scuola a lezione inoltrata. Accompagnati dai genitori, sono costretti una o più volte alla settimana a bussare, interrompere il lavoro dei compagni, entrare con imbarazzo, sedersi in aula e cercare di riprendere il filo delle attività iniziate. 
Se l'ingresso coincide con la presenza dell'insegnante di sostegno significa  essere aiutati, se invece in aula c'è una sola maestra significa che l'aiuto sarà esiguamente compatibile con il prosieguo dell'attività e con le esigenze di tutta la classe. E per quanto una maestra possa essere attenta il risultato è un rammendo improprio per cercare di riallacciare i contenuti di quel momento con quanto accaduto in assenza del bambino. 
Può accadere anche che si faccia finta di nulla, e il bambino resta semplicemente sospeso in attesa dell'inizio di una nuova attività, o di un cambio di ora e d'insegnante.
Non di rado questo accade già nella scuola infanzia e continua nella scuola primaria... 
Perché bisogna anche pensare agli anni e a come un bambino se li vede passare, facendo sempre le stesse cose: entrando a scuola da solo quando i compagni hanno cominciato da un pezzo. 
A me di tutto questo non dispiace tanto la perdita delle attività didattiche, cui il bambino necessariamente rinuncia, perché confido sempre nel fatto che un argomento alla scuola primaria si spiega molte volte da tante sfaccettature, a me dispiace quell'ingresso, che ho visto ormai migliaia di volte, di questi bambini che entrano a volte mentre si parla, altre mentre c'è concentrazione, silenzio o si legge, la maggior parte di loro rendendosi conto che l'orario d'ingresso è ciò che sottolinea la loro diversa condizione e soprattutto fanno la figura di chi interrompe qualcosa. 
La condizione di un bambino e una famiglia costretti a dividersi tra due bisogni egualmente importanti e ugualmente irrinunciabili. E non diversamente cela le stesse insidie l'uscita anticipata dalla scuola.
Ora va da sé che la scuola, esclusa quella a tempo pieno e quella  dell'infanzia che funzionano per otto ore,  non si può fare al pomeriggio, e che i centri riabilitativi sia pubblici che privati  (il privato poi mi pare che dovrebbe maggiormente essere flessibile) funzionano anche al pomeriggio, non sarebbe un atto di civiltà fare in modo che un bambino ci si possa recare in orari diversi dalla scuola?

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giovedì 15 settembre 2011

La chimica che non ho capito

Leggevo questi giorni alcuni commenti sulla scuola. Commenti generici che (forse) involontariamente descrivono una realtà monocolore, ma divenuti ormai talmente diffusi,   da poterne evitare anche i link di riferimento. 
Trattandosi di argomentazioni che riguardano le persone e il loro agire, è facile ribattere che nessun giudizio per quanto circostanziato descrive esaustivamente le realtà. Per fortuna. 

Affermare che la didattica non è cambiata, che s’insegna allo stesso modo a bambini e studenti che non somigliano nemmeno un po' a quelli di vent'anni fa, equivale a fare l'operazione sopra descritta. Argomentare senza indicare fatti ed esperienze non ha alcun significato e nulla porta al bilancio di ciò che abbiamo in cassa. Di ciò che è spendibile in termini di esperienza. 

Tanto per raccontare cosa è accaduto in questi anni passati, mi piace ricordare l'esperienza  dei presìdi ISS: insegnare scienze sperimentali. S'intuisce subito che si parla di insegnamento delle scienze (soprattutto) attraverso la pratica sperimentale. Io al progetto ho aderito prima da insegnante, mi sono formata insieme a tantissimi colleghi e alcuni sono anche diventatati tutor, come me.

La richiesta di formazione era ed è trasversale agli ordini di scuola, addirittura tale oggi da non poter essere soddisfatta in base alla capacità di erogazione di formazione da parte dei presìdi (per via dei fondi ormai agli sgoccioli). Certamente i tagli degli ultimi due anni hanno dato il colpo di grazia, ma non è questo del quale si vuole dire. 

L'esperienza dei presìdi ha richiamato spesso alla mia memoria, con uno sconfortate paragone, il metodo d’insegnamento da me conosciuto, in particolare della chimica, all’istituto magistrale. 

Tutto si svolgeva secondo questa, che ora non esito a definire, triste sequenza: 
Apertura del libro a pagina… 
Spiegazione dell'insegnante. 
Pagine da studiare a casa. 
Interrogazione di formule e processi. 
Risultato di sere di studio: una striminzita sufficienza, qualche formula imparata a memoria, miseri riferimenti ai processi, un discreto odio per la materia e nulla che avesse a che fare con la chimica quotidiana (eh sarebbe stato bello). 
E non mi si dica che non c’erano i laboratori. Perché anche dove c’erano in pochi ci portavano gli studenti. 
Questo per dire che la chimica l'ho apprezzata da insegnante quando ho capito che solo a sapere mettere le mani in cucina ce n'è una caterva, non parliamo poi di quella che si può comprendere in un laboratorio vero. E questo processo ovviamente ha prodotto l'utilizzo di un metodo didattico di cui lo sperimentare è l'attore principale insieme allo studente che esegue, sbaglia e riprova fino al risultato. Patrimonio che si è ulteriormente diffuso nei libri, tutti i libri affiancano alla parte teorica la parte sperimentale.

Queste sono storie comuni, storie di materie, come la chimica insegnata in astratto e di insegnanti che con l'esperienza sono usciti dalla frustrazione della didattica fatta di esclusivo sapere esperto, che sicuramente è buono per alcuni contenuti ma non per tutti. In ogni caso raramente con i bambini della primaria. 

E per tornare alle affermazioni inziali, non tutta la scuola è metodologicamente vecchia e omologata. E a costo di annoiare voglio ribadire che nel bilancio delle cose di oggi, tutto ciò che di buono nella scuola esiste deve stare nella colonna separata delle cose che invece sono assolutamente da cambiare e che spesso poco hanno a che fare con le riforme, come ben sappiamo.
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mercoledì 14 settembre 2011

Si ricomincia, in quarta

Ho sistemato tutto, le scatole riempite a giugno, trasportate e vuotate nella nuova aula al primo piano. Mi piace il nuovo spazio, ho tutti gli armadi (vecchi e senza serrature) che mi occorrono. Quest'anno per la prima volta ho un po' di scorta di facile consumo e di carta (grazie ai progetti, perché dal ministero non arriva più un euro). Ho impilato una quantità incredibile di disegni e lavori che mi serviranno gli ultimi mesi della classe quinta, così tanto per ricordarci almeno una parte di tutte le cose che abbiamo imparato e speriamo che siano un sicuro bagaglio per sempre. 

Le pareti sono tinteggiate di fresco, intonse: ho deciso che le riempiremo con gli alunni, non appendo nulla, a parte le loro poesie. Vorrei che fossero loro a mettere disegni, le ricerche, le mappe, a scegliere i cartelloni, vorrei che le pareti diventassero uno spazio per il ripasso visivo. La nostra nuova aula è dotata di Lim, che è dovuta andare nell'unica parete che potesse reggerla, visto che i muri divisori tra le aule sono di cartongesso, è un'aula molto defilata quasi nascosta, ho pensato che è l'angolo giusto per il mio stato d'animo, perché la scuola voglio continuare a provarla a fare lontano dai clamori. Senza frizioni con le famiglie, sperando che restino le mie (le nostre) migliori alleate. 

Vorrei che anche quest'anno come gli altri, io e i ragazzini potessimo in santa pace continuare ad imparare con il nostro ritmo solito, anche con la consueta ironia, con le inevitabili arrabbiature che mi prenderò, perdonandoli solo quando si saranno risolti a fare il loro dovere: stare attenti, porre domande e studiare a casa e a scuola. Io ci tengo che l'anno vada così e ci credo. Perciò quell'aula che sembra così lontana dal resto della scuola è ciò che fa al caso nostro. 

Ci porterò la connessione internet, magari me la pagherò io e ci collegheremo al mondo, ché qualche volta il mondo lontano del web è più vicino del reale. O almeno così è stato per me in questi anni. Ho condiviso qui le perplessità, i successi, i dispiaceri e gli insuccessi, più di quanto non sia accaduto in realtà. Ma non perché a scuola non lo si voglia, bensì perché riusciamo a parlare oramai solamente (se non ci sono questioni formali da discutere) durante le due ore di programmazione e moltissime sono le cose che siamo costretti a tralasciare, alcune anche importanti. Forse era anche questo l'obiettivo delle riforme, fare in modo che il poco dialogo tra insegnanti finisse del tutto, che restasse solo la burocrazia, riducendo al lumicino il tempo per  di parlare dei bambini, di metodo, di  strategie, di contenuti. 

Ora il nostro panorama in aula è cambiato, anche i bambini sono cresciuti, arrivano i due anni nei quali dobbiamo cercare di dare di più, abbiamo tantissima grammatica da imparare, i testi da conoscere. Perfezionare la produzione individuale, imparare a scrivere le poesie e tante cose che ora non mi vengono in mente. E la nostra nuova aula, è la stanza perfetta per noi, che abbiamo da faticare, che avremo bisogno di silenzio e di concentrazione. 

Domani ci riuniremo e dopo gli abituali saluti e i racconti delle vacanze, inizieremo a lavorare di nuovo sul testo, riprenderemo il ritmo senza stare a tergiversare. Ripasseremo le cose dimenticate e subito ne emergeranno di nuove, cercheremo di trattenere chi scalpita e sostenere chi tende a restare indietro, piano piano impareremo anche a intraprendere ciascuno la propria strada, perché non siamo tutti uguali e questo è un bene. Dall’indistinto del gruppo devono emergere i singoli. Ma sempre rispettando il nucleo di appartenenza.
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sabato 10 settembre 2011

Tutti in classe, a radio3! Ci sarò anch'io.

Cari lettori,
un po' l'ho già scritto in giro per i social, nel caso abbiate tempo e voglia lunedì 12 settembre prossimo interverrò in diretta a Radio3 scienza, nel programma "Tutti in classe, a  radio3!" di Rossella Panarese.
E il mio intervento, come lo spirito stesso del programma, è raccontare la scuola viva, il fare, le strategie per imparare dando ai contenuti il gusto delle cose buone. E l'ingrediente migliore rimane ancora oggi  una buona dose di passione. 
Che dire? Sarò con tutta evidenza emozionata e quando si è emozionati la grammatica, ecco, se ne va un po' per i fatti suoi. Spero di riuscire a comunicare il senso del lavoro di tre anni in questo blog. 
Il senso di una didattica rigorosa, e oggi non può che essere così, ma che non intende trascurare il suo soggetto: la persona che apprende. Un blog che nelle ultime settimane ha conosciuto ulteriori e inaspettati successi.
Mi sforzo di continuare a raccontare la scuola nei suoi aspetti positivi, di fare da controcanto alla catastrofe descritta altrove, non perchè essa non esista, o io voglia negarla,  ma perchè la sola descrizione della catastrofe non solo annulla anni di lavoro, ma anche lo sforzo attuale di tanti docenti, alunni e famiglie che si sono imposti di continuare con ostinazione e caparbietà a sostenerla.
Ed è alle grandi testate giornalistiche che va il mio rammarico, per i toni, non sempre certo, che raccontano prioritariamente l'agonia.
E sempre più spesso mi ritrovo ad applaudire silenziosamente il racconto quotidiano che è  secondo me lo spaccato di scuola del quale abbiamo maggiormente bisogno, il racconto che si trova nei blog meno noti, ad esempio quiqui e qui, che della scuola dicono il bello e il brutto, diffondendo e difendendo l'idea che la scuola ancora non è morta. L'ho già scritto.
Naturalmente auguro buon anno a tutti: ai bambini e agli studenti a cui ribadisco di studiare, imparare e ancora studiare. Alle famiglie a cui mi sento di dire di vigilare col necessario distacco, saper guardare onestamente all'operato dei figli, al proprio e a quello dei docenti, senza preconcetto alcuno. Ai docenti e ai colleghi, in particolare a quelli che pensano che la scuola non è finita e non è neppure moribonda, a quelli che pensano che si può fare ancora la propria parte almeno dentro le aule, quel pezzo è la parte del tutto, di tutto ciò che ancora di buono funziona. E quello nessuno lo può cancellare.

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giovedì 8 settembre 2011

Oltre l'insegnante di sostegno?

Il corso di specializzazione per il sostegno l'ho frequentato a Sassari presso l'Istituto Toniolo, che faceva  e fa capo all'Università Cattolica  di Milano. No, non è stata una scelta, allora, nei primi anni ottanta, se intendevi conseguire il titolo per il sostegno, qui potevi iscriverti solo lì.
Facevo i miei quattrocento chilometri del fine settimana, prima in treno e poi con la mia prima macchina, una centoventisei usata, ci passavo tutte le vacanze di Natale, di Pasqua e i ponti delle altre festività.

Delle tante cose sentite prima dei due anni di corso nessuna si rivelò esatta. Non ci vollero raccomandazioni per accedere, ma il superamento di un test attitudinale, molto somigliante ai  quiz  intellettivi. Poi si studiava e parecchio, ed essendo un corso privato si pagavano una quantità incredibile in tasse. Con un vantaggio non trascurabile, certo, dal provveditore (allora si chiamava così) c'era talmente tanta richiesta di insegnanti di sostegno che l'incarico annuale arrivava prima della conclusione del corso, bastava indicare nella domanda di supplenza di essere iscritti al corso di formazione per il sostegno. 

In quel corso è avvenuta la mia vera formazione, non vale come una laurea, ma negli anni ho capito che è parecchio di più di una laurea di allora: lo studio della fisiologia del sistema nervoso, neuro psicopatologia dell'età evolutiva, pedagogia, psicologia, didattica, psicomotricità in forma di laboratorio, si sperimentavano sul corpo le emozioni, l'interazione nello spazio,  la messa in gioco del corpo, poi i dibattiti, le esercitazioni, le simulazioni, il portfolio... tutte cose del quale nella scuola ho sentito parlare solo dopo anni. Un'impronta che non è mai scomparsa in tutti questi anni di lavoro a scuola. Sul destino e sul ruolo, per come si configurava allora, dell'insegnante di sostegno scrissi pure la mia tesi conclusiva.

E più di ogni altra cosa ricordo la sensibilità verso coloro che negli anni sono stati: handicappato, disabile, diversamente abile. Per noi erano semplicemente i ragazzi, i ragazzi rinchiusi negli istituti,  per cui la scuola pubblica era ancora preclusa, le esperienze degli operatori, che arrivando  dal fronte  raccontavano la vita dall'infanzia in poi in istituto, e spesso davano dimostrazione delle tecniche per affrontare i casi più gravi.  Erano gli anni in cui si levava ancora il grido forte di scuola pubblica per tutti, il dibattito era perfino aspro in certi casi, sono certa che molti lo ricordano.
E il ruolo dell'insegnante di sostegno nella mia visione si perfezionò come di un insegnante con una sensibilità speciale, un mediatore rispetto alla cosiddetta normalità, uno in grado di rendere possibile l'inserimento di una persona diversa in una scuola che allora era davvero costruita per poche tipoligie d'individui.
Una persona dotata della forza necessaria a sfidare anni di separazione, capace di gioire enormemente e di piangere in maniera solidale, disposto a usare il corpo come mezzo per l'altro, ad asciugare lacrime, bava e pipì. Perché il corpo di ciascuno è fatto anche di questo. Imparai che la disabilità può toccare a tutti, inaspettatamente.

Dei tanti che eravamo allora, moltissimi ancora oggi fanno il sostegno, i miei dati smentiscono  l'idea che il sostegno è il trampolino per il ruolo comune,  credo anche che è giusto che rimanga a farlo solo chi è veramente motivato, anche se la cultura del sostegno dovrebbe appartenere a tutti nella scuola. Allora i concorsi uscivano ogni due anni e non di rado mentre si frequentava il corso si vinceva la cattedra di posto comune, come è accaduto anche a me.
E quelle colleghe e quei colleghi di allora, ancora oggi fanno questo lavoro interpretandolo a seconda delle situazioni: anche con la vicinanza fisica quando necessario, e sono ancora molti i casi in cui c'è bisogno del contatto fisico, oppure con discreta vicinanza alla classe aiutando e sostenendo nel difficile mestiere d'imparare chiunque si trovi in difficoltà.

E il senso autentico di questo lavoro è proprio la vicinanza e l'empatia verso l'altro, chiunque sia e in qualsiasi situazione di svantaggio si trovi. E' anche la forza, la rabbia, le lacrime e la perseveranza  di inseguire i risultati anche dopo anni, di crederci sempre e comunque.
E ogni insegnante di sostegno e non, nella sua formazione dovrebbe accedere a queste conclusioni: poi possiamo istituire i coordinamenti territoriali  che trovano nei Glh provinciali i loro naturali predecessori, rinominarli, possiamo avere docenti super  specializzati, ma mai dovremmo allontanarci dalla dimensione umana che comprende, sì l'ufficio organizzativo, che dovrebbe stare all'interno della scuola stessa,  ma più di ogni altro possedere la capacità di sostenere didatticamente  un progetto di vita. 

Non è detto che unificare in un organico indifferenziato, scindere il binomio insegnante di sostegno/alunno,  sia la strada per l'affermazione dei bisogni speciali,  la differenza, la diversità anche dei ruoli è ciò che coraggiosamente dobbiamo essere in grado di accettare e imparare tutti. Lasciando a ciascuno poi la capacità di esprimersi al più alto grado di interpretazione del proprio profilo professionale.
In una scuola così pericolosamente in bilico, forse non è neppure il momento storico adatto, pensare ad una unificazione. Rischiamo di ritrovarci tutti in cattedra e quei momenti in cui è necessario sedersi a fianco di un bambino rischia di diventare un pallido ricordo.
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martedì 6 settembre 2011

Integrazione scolastica: proposte e discussioni

Volentieri giro ai lettori il comunicato stampa, pervenutomi da  Edizioni Centro Studi Erickson, a cura  del Prof. Dario Ianes   Direzione scientifica dell’VIII Convegno Internazionale “La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, Rimini 18 – 19 – 20 novembre 2011.

Integrazione scolastica: i cambiamenti che fanno discutere
L’integrazione scolastica non è in discussione, ma la sua realizzazione è spesso insoddisfacente

A poco più di un mese dalla presentazione ufficiale del Rapporto “Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte” di Associazione Treellle, Caritas Italiana, Fondazione Agnelli, edito Edizioni Centro Studi Erickson, l’eco suscitata dal capitolo 5 del Rapporto è stata davvero notevole, sia nella stampa sia nei vari Social Network e blog, per arrivare allo scambio di idee nelle associazioni professionali e scientifiche.
Di questo fermento e di questa discussione sono particolarmente contento, perché era uno degli obiettivi che il Rapporto si poneva, pensando che da sempre Pólemos è il padre di tutte le cose... Soprattutto di quelle più difficili e che ci stanno particolarmente a cuore, come in questo caso l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità.
Sentendo direttamente le prime impressioni sul Rapporto, ho colto condivisione su alcune parti del Rapporto, accanto a varie perplessità, timori, paure e scetticismo. Queste reazioni mi hanno spinto ad allargare ulteriormente la conoscenza degli elementi fondamentali di questa proposta sottolineando che l’integrazione non è in discussione, ma la sua realizzazione è spesso insoddisfacente .
Nel Rapporto non si dubita mai del valore civile dell’integrazione, né degli sforzi e della buona volontà che migliaia e migliaia di persone vi profondono ogni giorno. Di questo non si discute, come non si discute del fatto che esistono molte esperienze di ottima integrazione.
Il problema sta purtroppo nella realizzazione su larga scala di un’integrazione sufficientemente buona, in modo che i diritti di tutti gli alunni con disabilità siano realmente esigibili e soddisfatti, in ogni parte del nostro Paese e in ogni ordine di scuola. L’integrazione scolastica efficace non è ancora diventata un’«istituzione» reale nel nostro sistema formativo.
Nella ormai pluridecennale storia dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, nonostante il suo indiscutibile valore civile, i notevoli investimenti in risorse finanziarie e umane, gli sforzi e la buona volontà di tanti insegnanti e operatori, e alcune ottime esperienze di buona integrazione, il sistema scuola nel suo complesso non è ancora riuscito a creare efficaci prassi che rispondano in modo equo e stabile ai diritti degli alunni con disabilità e delle loro famiglie.
Il punto del Rapporto che più di altri ha fatto discutere è l'evoluzione dell'attuale figura dell'insegnante di sostegno. L’ipotesi progettuale prevede il passaggio degli insegnanti di sostegno all’organico normale delle scuole e contemporaneamente la creazione di un congruo numero di insegnanti «specialisti» ad alta competenza, con un profilo professionale ad hoc, formati al massimo livello e stabili nel loro ruolo.
Questi specialisti sono figure professionali a tempo pieno, in grado di formare e supervisionare le varie componenti scolastiche, fornendo loro competenze chiave per un’efficace didattica dell’integrazione. Gli insegnanti specialisti non hanno ore di lavoro didattico diretto con gli alunni con disabilità,  sono operativi su base territoriale, prestando la loro opera itinerante in una serie di scuole, e hanno sede nel Centro Risorse per l’Integrazione (CRI).
In questo modo la figura dell’insegnante di sostegno come la conosciamo si sdoppia in due dimensioni operative: la gran parte di essi diventa insegnante curricolare contitolare a tutti gli effetti, assegnato alla scuola, e una ristretta parte, rigorosamente selezionata e formata, entra in una dimensione consulenziale tecnica ad alta competenza.
Ecco, a mio avviso, la parte più forte della proposta del Rapporto: il superamento radicale della figura dell’insegnante di sostegno per come la conosciamo. Contemporaneamente a un organico «normalmente» potenziato, le scuole avrebbero a disposizione il lavoro tecnico di insegnanti specialisti davvero in grado di fornire quelle risorse metodologiche per far diventare la «normalità più speciale».
Queste dunque sono le linee progettuali del nuovo modello, con i punti fermi da cui partono e gli scenari che intendono realizzare. Troppo lontane dalla situazione attuale? Troppo pericolose? Troppo destabilizzanti? Troppo scomode per chi vuole vivere solo di rendita di posizione?
Alla fine di questo commento mi piacerebbe che, in tutta onestà intellettuale, il lettore riconoscesse alla proposta, anche se fosse nel più completo disaccordo in merito ai suoi vari aspetti, l’obiettivo positivo e costruttivo di realizzare compiutamente un’integrazione scolastica di qualità, in nome dei diritti degli alunni con disabilità e delle loro famiglie, attraverso un cambiamento radicale che innovi concettualmente in modo profondo e non si accontenti di resistere in trincea ai continui tagli della politica scolastica governativa.

Per questo il mio invito è “Iniziamo a discuterne” su internet, sui giornali e all' 8° Convegno Internazionale La Qualità dell'integrazione Scolastica e Sociale di Rimini.

Dario Ianes
Università di Bolzano

Invito i lettori, in special modo insegnanti di sostegno, insegnanti curricolari e  genitori a contribuire al dibattito, perchè, come emerge dal comunicato e dalle slide nel link sottostante, la proposta, pur  richiedendo tempi lunghi di attuazione, coinvolge direttamente tutti i protagonisti che a vario titolo intervengono nei progetti di inclusione.


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domenica 4 settembre 2011

Ereditare una classe

Succede a volte che una classe la si erediti, perché ci si ritrova a scegliere dopo colleghi con più anni di servizio o perché la si preferisce alla classe prima che è spesso ritenuta una delle più faticose, in tutti gli ordini di scuola. 
Insegnare in una classe già avviata presenta una serie di pro e contro che bisogna avere chiari in mente da subito e anche in questo caso come nel precedente  visto qui, occorre pianificare una serie di passaggi, per ridurre al minimo i disagi per gli alunni, per noi e per far si che anche questa nuova situazione diventi un'occasione, un'esperienza dal quale trarre il massimo beneficio per tutti.

La classe
Una classe già avviata possiede una sua identità di gruppo, l'identità di gruppo è fatta di altrettanti individui, ciascuno coi suoi modi di essere. Ricordarsi di questo quando si entra in una classe serve a utilizzare atteggiamento prudenziale: anche i bambini al pari degli adulti hanno le loro amicizie e le loro conflittualità. Conoscerle significa evitare di entrare a gamba tesa nei rapporti che fino ad allora hanno regolato la vita del gruppo. 
Vuol dire cercare prima il dialogo, spendere del tempo ad ascoltare  gli alunni, conoscere i gusti, le preferenze e le difficoltà incontrate sino a quel momento. Iniziare nell'ottica del miglioramento può essere una soluzione nel caso gli alunni abbiano avuto delle precedenti difficoltà. Se invece l'esperienza precedente è stata  significativa "il ricominciare" è sempre un modo per mettere a frutto tutto quanto è stato funzionale, significa avere un patrimonio da migliorare ulteriormente.

Iniziare
Una volta che si conosce il piano emotivo, il primo periodo deve caratterizzarsi contestualmente dalla conoscenza della classe riguardo il livello di competenza, il programma già svolto e soprattutto il metodo di lavoro.  Chiarito sul come andare d'accordo il contenuto diventa l'obbiettivo preminente: organizzare le priorità e stabilire come si procederà, indicare le tappe fondamentali dell'anno scolastico,  come verrà operata la verifica, aspettative, traguardi e strade per arrivarci. L'ideale sarebbe concordare un traguardo comune da raggiungere, che renda tutti partecipi e responsabili. Non si riuscirà ad attuarlo, ma potrebbe aiutare a sentire vivo e pulsante il gruppo. In una quinta da me ereditata ero riuscita a farlo, il clima ne beneficiò parecchio e i risultati furono molto buoni.

Conoscere le regole della classe
Ogni classe consolida abitudini e regole, gli alunni non faranno fatica a raccontarle, ovviamente tralasciando con molta fermezza i particolari che indugiano sull'operato dei colleghi precedenti. A quel punto si può negoziare il mantenimento di quelle che sembrano funzionali e stabilirne di nuove in linea con il lavoro che s'intende fare con la classe. Più gli alunni sono grandi e maggiormente occorre essere chiari e determinati: esplicitare cosa ci aspettiamo ma anche cosa siamo disposti a dare. Essere molto espliciti e agire nell'idea di essere vincolati al rispetto delle decisioni prese concordemente, fatta salva la flessibilità per le necessarie modifiche in itinere, vale per il docente e gli alunni. Un insegnante che propone regole e vincoli che poi non rispetta non è credibile con gli alunni, questa mancanza di credibilità è probabile si trasmetta anche alle famiglie.

Esplicitare il contenuto oggetto di studio e il metodo
Dare indicazioni precise sugli obiettivi, i contenuti e sul metodo che s'intendono proporre. In particolare l'indagine sul metodo deve essere accurata, se si ritengono opportuni correttivi o integrazioni gli alunni devono esserne resi partecipi. Ma anche essere rassicurati che tutto avverrà con gradualità, nel rispetto dei tempi di ciascuno,  senza scoraggiare nessuno, senza  nascondere le difficoltà.

Una classe difficile
Accade che a volte nella classe ereditata ci siano alunni con problemi comportamentali o che vi siano problemi di disciplina. Le soluzioni non  sono a portata di mano. Occorre intanto cercare di mantenere il contatto con la parte degli alunni più collaborativa. Segnalare quanto accade alle famiglie e trovare le soluzioni più opportune senza mai delegare l'aspetto disciplinare. Tenere  il più possibile impegnata la classe, se serve utilizzare solo la didattica frontale e il sapere esperto, ridurre al minimo i momenti di confusione, tenere un diario di quanto accade. Solo quando la situazione è sotto controllo si può aprire a momenti di confronto e di discussione. In una situazione compromessa è proprio il momento della discussione a generare l'esplosione del conflitto. Non pensate di potercela fare da soli, il team in questi casi deve essere estremamente solidale e compatto, sia nei confronti degli alunni che delle famiglie. Un rallentamento delle attività didattiche non deve costituire un problema, in una classe problematica vengono prima la sorveglianza e la salvaguardia dell'incolumità di tutti.

Infine
Essere propositivi, senza negare le difficoltà, ma neppure fare che diventino l'aspetto dominante dell'esperienza. Durante l'anno potrà anche accadere di rendersi conto di lacune nella preparazione, se la situazione lo consente cercare "insieme" agli alunni possibili rimedi, ad esempio con indicazioni di lavoro a casa, anche con il supporto delle famiglie. Se si tratta di classi che devono affrontare esami essere consapevoli che si tratta di rattoppi, per il quale è giusto e doveroso provvedere, ricordando che la nostra presenza non può rappresentare la soluzione agli occhi delle famiglie: nessuno è dotato di poteri magici tali da poter in un anno rimediare a situazioni pregresse. La fine di un corso di studi è qualcosa che si costruisce negli anni precedenti.
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venerdì 2 settembre 2011

Carnevale della Fisica di Agosto 2011 La fisica va in vacanza

Edizione vacanziera del Carnevale della fisica di questo mese di agosto che ci ha appena lasciati. La fisica va in vacanza ospitato da Claudio Pasqua sul Quotidiano Piemontese.
L'edizione agostana 2011, si caratterizza per il sapore vacanziero, che Claudio introduce con il video che meglio rappresenta la sua idea di Estate e tempo libero Imitation of Life”, Lo specchio della vita” dei R.E.M., che egli definisce un autentico gioiello di regia e di montaggio del regista Garth Jennings. 
In totale clima di relax si snodano poi gli interessanti contributi di questa edizione numero ventidue del Carnevale, tra i quali contributi dedicati alla scuola Primaria, mio e della collega Cristina Sperlari con "In vacanza con... Archimede", senza farlo apposta i nostri due articoli si sono sposati e completati a vicenda, quando si dice comunione d'intenti!

Continua la lettura del Carnevale della fisica #22 sul Quotidiano Piemontese

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